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Piante velenose: l’aquilegia, la bella cattiva

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Aquilegia: fiorisce tra maggio e luglio sulle Alpi e negli Appennini. Ma attenzione è molto velenosa

L’Aquilegia fa parte del genere delle Ranunculaceae e comprende circa 70 specie, con numerosi ibridi e varietà, di piante erbacee perenni, originarie dell’America, Asia e zone alpine dell’Europa. Alcune specie spontanee in Italia, sulle Alpi e gli Appennini, hanno fogliame leggero e finemente diviso, fiori leggeri con lunghi speroni colorati di bianco, azzurro, giallo, rosso, rosa, lilla, viola e avorio. Il periodo della fioritura è maggio-luglio. Riguardo al nome di questa pianta ci sono diverse opinioni: una di queste vuole che il nome derivi dal latino “aquam lego” cioè “raccolgo l’acqua”, per la forma dei petali ad imbuto adatta ad accogliere l’acqua . Alcuni dicono che deriva dal fatto che i fiori, con i loro petali dai caratteristici speroni, ricordano il becco o gli artigli di un’aquila; altri invece gli danno un significato di follia per il fatto che il fiore con la sua forma bizzarra ricorda il cappello di un giullare. Un’altra corrente di pensiero vuole che i fiori somiglino a delle colombe, da cui il nome columbine che viene comunemente attribuito all’aquilegia dai popoli di lingua inglese. Secondo la tradizione magica, l’aquilegia è legata alla Luna e all’elemento Acqua. La tossicità di questa pianta è molto alta; è una delle piante velenose poiché il suo contenuto in glicosidi cardioattivi è altissimo: queste sostanze danneggiano principalmente il cuore e provocano crampi, difficoltà respiratorie e aritmie. Al contrario, i nativi Americani sapevano usarla come infuso per una gran varietà di cure, dal mal di cuore alla febbre e come anti-veleno: polverizzavano i semi e ne strofinavano la farina sulle mani come afrodisiaco e come profumo da uomo per attrarre la donna desiderata. Nel nostro paese questo fiore rievoca l’antica leggenda della complicata storia d’amore fra la principessa Teodagne e il principe Rutibando. I genitori vollero dare Teodagne in sposa al principe longobardo Rutibando, il quale però si comportava molto male con la moglie, che subiva pazientemente tutti i soprusi. Le donne longobarde allora per punirlo si rivolsero ad un mago e questi trasformò il principe in un fiore buffo, grottesco e ricco di corna, che non fosse mai accarezzato da nessuna donna né colto da nessun innamorato. Infatti secondo la tradizione l’Aquilegia è legata alla sfera dell’amore, simbolo di lussuria e ipocrisia.  Nel Medioevo gli era anche attribuito un significato di tristezza e gelosia. A questo proposito è interessante osservare il quadro “Ritratto di Principessa” ,attribuito al Pisanello (1435 – 1449), dove lo sfondo è ricco di farfalle, garofani e aquilegia. Oggi si è quasi certi che la donna rappresentata sia Ginevra D’Este che fu data in sposa giovanissima a Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, la quale morì molto giovane, probabilmente avvelenata dal marito che si era invaghito di un’altra donna. L’aquilegia dunque, in questo quadro conservato oggi al Louvre, è stata disegnata per indicare la profonda tristezza e malinconia che appare nel volto della fanciulla.

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Giulia Bartalozzi

Giornalista, dal 2009 è responsabile della comunicazione per l’Accademia dei Georgofili (la più antica accademia del mondo che si occupa di agricoltura, ambiente e alimentazione) e per la Società Toscana di Orticultura. Per queste due prestigiose istituzioni, gestisce i rapporti con la stampa, i notiziari on-line (www.georgofili.info, www.georgofili.world, www.societatoscanaorticultura.it), le newsletter e i social network. Autrice di libri per bambini con 5 titoli pubblicati da Giunti. Appassionata di natura, arte ed enogastronomia.
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