L’agnocasto, piccolo arbusto molto ornamentale è sempre stato legato ad usi medicinali e soprattutto afrodisiaci, preti o saggi lo davano come rimedio per il desiderio sessuale
L ’agnocasto, piccolo arbusto molto ornamentale per le sue foglie argentate ed eleganti, con lunghe spighe di fiori blu o rosa molto profumati, fa parte della famiglia delle Verbenacee e cresce in tutto il bacino del Mediterraneo e nell’Asia Occidentale.
L’agnocasto è sempre stato legato ad usi medicinali e soprattutto afrodisiaci: numerosi popoli lo hanno richiesto ai vari stregoni, preti o saggi come rimedio miracoloso che fosse in grado di ravvivare il desiderio carnale; tuttavia molto più conosciuta era la sua proprietà opposta, ovvero quella di frenare l’impulso sessuale, da cui l’etimologia “agnus-castum”.
Già durante le Tesmoforie in Atene, festeggiamenti in onore della dea Demetra, celebrata da sole donne, queste si ornavano di fiori di agnocasto e dormivano su strati di questa pianta, custode della loro verginità o dello stato di purezza imposta loro dai riti. I poteri temperanti di questo arbusto vengono descritti anche da Jean Liebault nel “Maison Rustique” (1564): “… le sue foglie, o i semi, o i fiori messi in sacchetti e applicate sotto le natiche a letto, custodiscono la castità, motivo per cui in molti paesi lo si vede piantato nei chiostri dei monaci”.
All’inizio del XVIII secolo Jean Baptiste Chomel, agronomo ed enciclopedista francese, creò con l’agnocasto un elisir che vendeva come “segreto infallibile per conservare la castità”, conservando tuttavia egli stesso un certo scetticismo sulle doti della pianta. Difatti scriveva nel suo “Abregé de l’histoire des plantes usuelles” (1731): “Non possiedo ancora sicure esperienze di questo farmaco per stabilire se sia effettivamente in grado di procurare una virtù così difficile da mettere in pratica senza il soccorso di una grazia sovrannaturale”.
Un secolo più tardi, mentre ancora si preparavano con le bacche di agnocasto un’essenza, un’acqua distillata e uno sciroppo di castità, Francois Pierre Chaumenton, pieno di anticlericalismo rivoluzionario, negava alla pianta qualsiasi potere anafrodisiaco e si scagliava contro gli stessi monasteri, “questi oscuri asili dove lo stimolo della carne sovente si fa sentire con una violenza estrema, dove l’uomo si impone la legge barbara di combattere la più dolce e la più utile propensione naturale…” (Flore du Dictionnaire des Sciences Médicales, 1814). Malgrado il disprezzo dei moderni per la credulità degli antichi, è raro che una pianta tenuta così a lungo in considerazione non nasconda una qualche reale efficacia. Infatti sono stati dimostrati i suoi effetti antiestrogeni e galattogeni e merita quindi di figurare ancora oggi tra le piante sedative dell’apparato genitale. Viene utilizzato in erboristeria ma, per la sua azione specifica sul lobo anteriore dell’ipofisi, è sconsigliato in gravidanza e va utilizzato sotto la guida di un medico.
I suoi piccoli frutti rossastri, la cui forma, sapore e profumo giustificano il vecchio nome dell’arbusto come “pepe selvatico” o “albero del pepe”, sono stati utilizzati spesso come condimento. Ai tempi di Galeno, li si serviva fritti come dessert, ma chi ne faceva abuso pagava la sua golosità con l’emicrania e anche con effetti indesiderati più spiacevoli!
Infine, il legno di agnocasto viene citato da Vitruvio insieme a quello di pioppo, salice e tiglio per i lavori in cui è richiesta la leggerezza e la flessibilità; infatti era molto utilizzato, al posto del vimini, per fare panieri o rivestire giare.
Ricordiamo ancora che è una pianta medicinale e va somministrata esclusivamente sotto controllo medico.