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Giacinto: il fiore dei poeti antichi

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Tra gli scrittori e i poeti antichi il giacinto è stato uno dei fiori più popolari: lo troviamo menzionato anche da Virgilio e Plinio. A Sparta si svolgevano le “feste giacinzie”

Il genere fu battezzato da Linneo nel 1737. Secondo uno studio filologico, il nome deriverebbe da una radice greco-albanese “giak” (rosso scuro) e da un suffisso “inthos” che, nei suoi composti, significa pianta. La radice “giak” indicherebbe anche sangue, uccisione, e spiegherebbe la creazione dei miti legati a questo fiore.Due sono le favole principali che riguardano il giacinto. Una è quella della sua triste storia d’amore con il dio Apollo; mito narrato, fra gli altri, da Ovidio nelle sue Metamorfosi.I primi giacinti orientali, da cui derivano quelli orticoli attuali, furono importati dall’Asia occidentale a Padova alla fine del ‘500. Nel 1688 ne erano già state ottenute delle buone forme orticole che Cosimo de’ Medici fece venire dall’Olanda per i suoi giardini. Come il tulipano, anche il giacinto ebbe il suo momento di gloria: pare che nel 1734, in una pubblica asta, un bulbo grande e 8 piccoli della varietà “non plus ultra” furono pagati più di 133 sterline.
Il genere fu battezzato da Linneo nel 1737. Secondo uno studio filologico, il nome deriverebbe da una radice greco-albanese “giak” (rosso scuro) e da un suffisso “inthos” che, nei suoi composti, significa pianta. La radice “giak” indicherebbe anche sangue, uccisione, e spiegherebbe la creazione dei miti legati a questo fiore.

Due sono le favole principali che riguardano il giacinto. Una è quella della sua triste storia d’amore con il dio Apollo; mito narrato, fra gli altri, da Ovidio nelle sue Metamorfosi. Apollo e Giacinto si amavano profondamente, quando un giorno, mentre si stavano allenando nel lancio del disco, il giovane venne colpito alla testa dall’attrezzo lanciato da Apollo, spintogli contro da Zefiro, geloso dell’affetto tra i due. Ferito a morte, Giacinto non poté che accasciarsi tra le braccia del compagno che, impotente, lo trasformò nel rosso fiore che porta il suo nome, e con le sue lacrime tracciò sui suoi petali le lettere άί (ai), che in greco è un’esclamazione di dolore. La seconda leggenda, anche questa accennata da Ovidio, narra di come Ajace Telamonio, furioso per non aver avuto le armi di Achille, da lui contese ad Ulisse, si uccise e dal suo sangue sorse un fiore, il giacinto, su cui erano segnate le lettere άί άί, le prime del suo nome o piuttosto l’espressione dell’ultimo grido attribuito al suicida.

Tra gli scrittori e i poeti antichi, comunque, il giacinto è stato uno dei fiori più popolari: lo troviamo menzionato da Virgilio, da Columella, da Plinio, da Teocrito, etc. A quanto si può dedurre dai testi, il giacinto degli antichi era sempre di colore rosso violaceo: forse per questo lo associarono al sangue. Ma nella mitologia greco-romana, amore, morte e rinascita formavano un fitto intrico. Pertanto il giacinto non era certamente un fiore funereo: consacrato a Cerere, i fanciulli se ne cingevano il capo per onorarla. Anche Apollo e le Muse lo portavano sulla fronte e la stessa Afrodite, quando per vincere il premio volle apparire a Paride ancor più bella, si distese su un letto di giacinti. Sparta celebrava ogni anno le “feste giacinzie” con grandi processioni. Presso i Britanni, il giacinto selvatico era il fiore degli amanti: il suo colore azzurro, non più purpureo, era simbolo di sincerità.

Il giacinto è una bulbosa, il che significa che è composto da una “cipolla” da cui spuntano foglie e fiori. Fiorisce una volta all’anno ma pochi bulbi in fiore sono sufficienti a profumare un’intera stanza (se avete un olfatto sensibile, tenetene conto!). A dispetto dell’origine del suo nome, i colori del giacinto sono i più vari: blu, rosa, lavanda, violetto, fucsia, e persino giallo e arancio. Gradisce molto il clima temperato e si coltiva con facilità davvero estrema sia in esterno sia in interno ed è inoltre una delle bulbose dalla più facile reperibilità che ci siano in commercio attualmente.

E’ possibile far fiorire i giacinti in inverno ricorrendo ad una tecnica colturale nota come forzatura: i bulbi vanno piantati in una ciotola piuttosto capiente e quindi lasciati in balcone per almeno tre settimane; trascorso questo tempo i vasi vanno portati in casa e sistemati dentro a una stanza calda avendo cura di mantenere sempre umido il terreno. Poi si costruisce un cilindro o un cono di cartone largo abbastanza per contenere il germoglio e vi si pone sopra; questo espediente farà si che la piantina si allunghi ancora, e piuttosto velocemente, alla ricerca della luce. Non appena il germoglio comincerà a premere sul cartoncino si toglie la copertura di cartone e si espone la pianta alla luce (l’ideale sarebbe dietro a una finestra)  bagnando regolarmente. Unica pecca di questa interessante tecnica è che impoverisce il bulbo e lo rende inutilizzabile per fioriture successive.

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Giulia Bartalozzi

Giulia Bartalozzi

Giornalista, dal 2009 è responsabile della comunicazione per l’Accademia dei Georgofili (la più antica accademia del mondo che si occupa di agricoltura, ambiente e alimentazione) e per la Società Toscana di Orticultura. Per queste due prestigiose istituzioni, gestisce i rapporti con la stampa, i notiziari on-line (www.georgofili.info, www.georgofili.world, www.societatoscanaorticultura.it), le newsletter e i social network. Autrice di libri per bambini con 5 titoli pubblicati da Giunti. Appassionata di natura, arte ed enogastronomia.
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