A Firenze novantasei dipinti per ripercorrere i tratti più significativi del naturalismo
Caravaggio superstar. Un viaggio da sogno fra la Galleria Palatina, gli Uffizi e Villa Bardini sulle tracce del naturalismo caravaggesco. Dopo Roma è Firenze (la città con il maggior numero di quadri di Caravaggio dopo la capitale), a rendere omaggio al virtuoso pittore lombardo nel quarto centenario della sua morte avvenuta, in circostanze ancora oscure e controverse, su una spiaggia desolata di Porto Ercole nell’estate del 1610.
Dal 22 maggio al 17 ottobre 2010 riflettori puntati sulla mostra Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, a cura di Gianni Papi. Novantasei i dipinti in esposizione oltre a tredici disegni per ripercorrere i tratti più significativi di quella breve, a tratti dibattuta ma intensa stagione artistica che all’insegna del naturalismo vide protagonisti a Firenze alcuni seguaci del Caravaggio come Artemisia Gentileschi, Battistello Caracciolo e Theodor Rombouts. Capolavori assoluti dove il potere magnetico di quelle improvvise accensioni di luce folgorante ad accarezzare prepotentemente volti, corpi, vaporosi panneggi, fiori, frutti e il piglio deciso di un naturalismo ‘solare’ e senza veli giocano ancora un ruolo di primo piano per l’indiscusso successo e potere di seduzione della poetica caravaggesca.
In mostra, a fianco di opere di artisti caravaggeschi, alcuni dei capolavori dell’artista: dal Bacco alla Medusa degli Uffizi (giunti a Firenze per il tramite del Cardinal del Monte, protettore a Roma del giovane Caravaggio); dal Sacrificio di Isacco al Cavadenti, dal Cavaliere di Malta all’Amorino dormiente fino allo straordinario Ragazzo morso da ramarro, punta di diamante della collezione di Roberto Longhi (pioniere degli studi caravaggeschi) esposto presso Villa Bardini alla rassegna Caravaggio e la modernità. I dipinti della Fondazione Roberto Longhi, a cura di Mina Gregori. Acquistano un ruolo di primo piano le straordinarie nature morte dipinte dall’artista all’interno delle sue tele, più vere del vero come la fruttiera stracolma di frutta variopinta del Bacco degli Uffizi (già nelle collezioni della villa di Artimino fin dal 1609) che con le sue asperità naturali è disposta con tecnica sopraffina a fianco della boccia, della raffinatissima coppa di vino e dei pampini d’uva che arditamente coronano la testa del giovane e suadente dio.
Di forte suggestione è l’inserto naturalistico che il giovanissimo Caravaggio, poco più che ventenne, inserisce nel Ragazzo morso da ramarro con la luce che filtra dalla finestra proiettata sulle pareti di vetro della caraffa disposta sul tavolo che ospita anche l’ardito animaletto, inavvertitamente sbucato in mezzo a foglie e frutta. La tela è menzionata dal Baglione (1642) insieme ad “alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti”, dichiarazione che allude ai processi esecutivi fondati sull’ottica che recenti ricerche scientifiche riconoscono come proprie della produzione giovanile del grande artista.